Narra il mito che la ninfa Dafne…
Ovidio
La mostra che segue aiuta a comprendere, partendo dal mito classico, quanto è radicata il concetto di violenza sulla donne nella nostra cultura. Quanto la società patriarcale ha provato costantemente a tenere la donna in condizione di subalternità anche attraverso la violenza.
L’UDI Unione donne in Italia, con questo progetto finanziato dal Dipartimento Pari Opportunità, si rivolge in particolare ai giovani e alle giovani accompagnandoli/e in un percorso di 76 anni di storia e di lotta a fianco delle donne.
La mostra oltre che nella sua esposizione a Roma può essere fruita, arricchita di materiali, attraverso questo sito web.
Buona visione!
Premiazione concorso “Fermare Apollo”
Si è riunita la giuria del premio per la mostra “Oltre Dafne fermare Apollo”, finanziata dal D.P.O. nell’ambito dell’Avviso pubblico per il finanziamento di progetti volti alla prevenzione e contrasto alla violenza alle donne anche in attuazione della Convenzione di Istanbul G.U serie generale n. 171 del 24 luglio 2017, per deliberare l’assegnazione dei premi ai lavori pervenuti dalle scuole.
La giuria, tenendo conto del numero e della qualità dei lavori inviati dalle scuole, ha deliberato di assegnare sei premi, invece dei cinque previsti, e quattro menzioni speciali.
Nella scelta dei lavori da premiare la giuria ha tenuto conto della coerenza con le finalità del concorso, unita all’efficacia comunicativa della realizzazione e all’originalità dell’ideazione.
È stato deciso inoltre di riconoscere una menzione speciale per segnalare quattro lavori di particolare autenticità di sentimenti e/o impegno collettivo.
Clicca qui per i vincitori e vincitrici del premio
Pannello 1
OLTRE DAFNE fermare Apollo
VIOLENZA MASCHILE: COME CONOSCERLA DAL MITO ALLA CRONACA ATTRAVERSO LA STORIA MANIFESTI DI DONNE, IMMAGINI DI STORIA, DI LOTTE E DI CAMBIAMENTO CONTRO VIOLENZA, STEREOTIPI E PREGIUDIZI
La violenza contro le donne è antica quanto il mondo ma nessuno pensa mai di raccontarla perché molti non la riconoscono e molti pensano che sia “naturale” e conveniente.
In tutte le civilta’nei secoli la violenza maschile contro le donne è presente, accettata e “normata” nelle leggi e nei costumi che gli uomini hanno avuto da tempi immemorabili fino alla contemporaneita’. Dal ratto di europa alle guerre persiane, alla guerra di troia e al ratto delle sabine la storia, la filosofia, la teologia e il diritto, la scienza e l’arte con il mito e oltre il mito, in tutte le sue manifestazioni, lo ha sottolieneato, ricordato o trasfigurato
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Pannello 2
Dafne
Questo progetto “Oltre Dafne fermare Apollo, immagini di storia e cambiamenti” è finanziato dal DPO del Cdm attraverso la LINEA F dell’avviso pubblico emesso dal DPO G.U. N. 171 del 24 luglio 2017 “per il finanziamento di progetti volti alla prevenzione e contrasto alla violenza alle donne anche in attuazione della Convenzione di Istanbul”
Narra il Mito che la ninfa Dafne, per sfuggire ad Apollo che voleva violentarla chiese aiuto ai genitori e fu trasformata nell’immobile alberello di alloro.
Ma nessuno ricorda che Dafne voleva essere salvata sì, ma per seguitare a correre libera come aveva sempre fatto, non per essere immobilizzata nella fissità di un’essenza vegetale. Perché dunque bloccare la ninfa che era sulla sua terra e non bloccare Apollo che la insidiava?
La mancanza di consenso che Dafne esprime dovrebbe essere sufficiente a far capire a qualunque uomo che si deve fermare, ma Apollo, come molti uomini anche oggi, non capisce o fa finta di non capire, e come tanti altri uomini esercita tutto il suo potere.
Scrive Ovidio nelle Metamorfosi “E le braccia divennero rami e Dafne, ormai immobile alberello di alloro, poté sfuggire così alla violenza di Apollo. Fermi i suoi piedi divenuti radici. Ferme le sue mani divenute foglie, Apollo non poté più possederla”.
Racconto mitologico che con il Bernini si trasformerà in uno splendido gruppo marmoreo e diventerà simbolo della violenza maschile dando il nome per decenni ai progetti dell’Unione europea per azioni contro la violenza (Progetti Dafne).
Ma nessuno ricorda che Dafne voleva essere salvata sì, ma per seguitare a correre libera come aveva sempre fatto, non per essere immobilizzata nella fissità di un’essenza vegetale. Perché dunque bloccare la ninfa che era sulla sua terra e non bloccare Apollo che la insidiava? Ovidio non ce lo spiega, ci dice solo che l’alloro divenne la pianta sacra allo stesso dio che ne aveva indirettamente provocato la metamorfosi. Non c’è solo Ovidio, ma anche tanti altri poeti, scrittori e musicisti che raccontano il mito di Dafne e che non trovano altre spiegazioni; non ammettono che una giovane ninfa aveva detto no a un dio bello e potente ma lui non si era rassegnato. La mancanza di consenso che Dafne esprime, dovrebbe essere sufficiente a far capire a qualunque uomo che si deve fermare, ma Apollo, come molti uomini anche oggi, non capisce o fa finta di non capire, e come tanti altri uomini entra nella genealogia dei violenti. Si costruiscono così simboli e ragioni per non essere ricordati come violenti esercitando in questo tutto il proprio potere.
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Pannello 3
Un cumulo di rovine
Finita la guerra contro il nazifascismo l’Italia è un cumulo di rovine materiali e morali. Le donne aderenti ai Gruppi di difesa, in oltre 80000, avevano partecipato alla Resistenza. A Liberazione avvenuta chiedono il diritto di partecipare in parità alla vita sociale e politica e il diritto di voto.
L’UDI quindi appena nata dalle donne dei Gruppi di difesa ( donne che hanno combattuto il nazismo e del fascismo) fa dell’inferiorità della donna uno dei suoi punti cardine.
Inizia così a battersi per i diritti delle donne: per il diritto al lavoro, alla scuola, all’accesso a tutte le carriere, per una maternità libera e responsabile, per un welfare universale, per la modifica delle leggi e dei codici che hanno discriminato le donne, sancendone l’inferiorità sociale e intellettuale sulla base di teorie di filosofiche e scientifiche.
Nei venti mesi di occupazione del nostro Paese la Resistenza delle donne si fa visibile.
Ha forme diverse, per lo più non violente, ed è ad alto rischio. Le donne sono quelle che più tenacemente resistono alle torture che spesso precedono le fucilazioni.
I Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà si costituiscono nel novembre 1943 e tracciano un programma d’azione. Confluiranno poi ufficialmente al 1° congresso 1945 nell’Unione Donne Italiane.
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Pannello 4
Sintesi della convenzione di Istanbul
La Convenzione è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011. In Italia, la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità la ratifica della Convenzione in data 28 maggio 2013 al Senato il 19 giugno 2013.
La Convenzione di Istanbul è “il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza“, ed è incentrata sulla prevenzione della violenza domestica, sulla protezione delle vittime e sulla punizione dei trasgressori.
Essa definisce la violenza contro le donne come violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione.
All’articolo 2, la Convenzione indica che le disposizioni si applicano in tempo di pace e anche in situazioni di conflitto armato.
La violenza contro le donne è la violenza dei diritti umani e una forma di discriminazione nei confronti delle donne, con questa si intendono tutti gli atti di violazione di genere che determinano o sono suscettibili di provocare danno fisico, sessuale, psicologico o economico o una sofferenza alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica o privata.
I reati previsti dalla Convenzione sono: la violenza psicologica, gli atti persecutori – stalking ; la violenza fisica, la violenza sessuale, compreso lo stupro; il matrimonio forzato; le mutilazioni genitali femminili, l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata ; le molestie sessuali, i crimini commessi in nome del cosiddetto “onore”.
La Convenzione stabilisce inoltre obblighi in relazione alla raccolta dei dati e la ricerca di sostegno in materia di violenza contro le donne.
La violenza contro le donne è la violenza dei diritti umani e una forma di discriminazione nei confronti delle donne, con questa si intendono tutti gli atti di violazione di genere che determinano o sono suscettibili di provocare danno fisico, sessuale, psicologico o economico o una sofferenza alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica o privata;
- “violenza domestica“: tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima;
- “genere“: sta a indicare i ruoli socialmente costruiti, comportamenti, attività e attributi che una data società ritenga appropriati per le donne e gli uomini.
- “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato;
Nel Preambolo, sono richiamate la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Carta sociale europea e la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, nonché i trattati internazionali sui diritti umani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale
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Pannello 5
La storia e le leggi contro le donne in Italia
Per capire la situazione dell’Italia e le lotte delle donne dopo la Liberazione è necessario ripartire dalla esclusione e inferiorizazzione delle donne dall’Unità d’Italia fino alla società fascista. Il regime fascista adottò una politica basata sull’inferiorità delle donne, facendo della questione demografica, esaltata pubblicamente, il sostegno della forza nazionalista e militare dello Stato. Le donne furono così escluse da ogni ambito della sfera pubblica allo scopo di incrementare le nascite.
Lo Stato fascista vietò l’uso di anticoncezionali e il ricorso all’aborto, nonché qualsiasi forma di educazione sessuale in nome della difesa razziale. Lo scopo della vita di ogni donna è il figlio. Non a caso, tra i fasti imperialisti del ventennio, si annoverano le cerimonie presiedute dal Duce, con le quali le madri più prolifiche ottenevano riconoscimenti ufficiali. Fra le prime misure pro-nataliste, introdotte dal regime, va ricordata la tassa sul celibato, mentre erano più operanti che mai le case di tolleranza.
La riforma della scuola fascista di Giovanni Gentile, Ministro dell’Educazione Nazionale (1922-1924) fu “dichiaratamente anti-femminile”, perché “per essere pregiata, rispettata, esaltata, la donna doveva accettare e non tentare di negare i limiti della sua diversità e inferiorità”. Negando alla donna qualsiasi capacità come educatrice, l’insegnamento di molte materie fu precluso alle donne.
Il diritto di famiglia, disciplinato dal 1865 dal Codice Pisanelli e improntato sulla supremazia maschile, precludeva alle donne ogni decisione, di natura giuridica o commerciale senza l’autorizzazione del marito o del padre. La stessa tutela dei figli era esclusiva prerogativa maschile. Lo scopo della vita di ogni donna è il figlio. Non a caso, tra i fasti imperialisti del ventennio, si annoverano le cerimonie presiedute dal Duce, con le quali le madri più prolifiche ottenevano riconoscimenti ufficiali. Fra le prime misure pro-nataliste, introdotte dal regime, va ricordata la tassa sul celibato (D. L. 2132 del 19/12/1926), mentre erano più operanti che mai le case di tolleranza.
La riforma della scuola fascista di Giovanni Gentile, Ministro dell’Educazione Nazionale (1922-1924) fu improntata su due obiettivi: inculcare nei giovani l’ideologia dello stato fascista e far accedere all’istruzione secondaria e all’Università, un numero ristretto di studenti, soprattutto non le donne. La riforma Gentile era “dichiaratamente anti-femminile”, perché “per essere pregiata, rispettata, esaltata, la donna doveva accettare e non tentare di negare i limiti della sua diversità e inferiorità”. Negando alla donna qualsiasi capacità come educatrice, l’insegnamento di molte materie fu precluso alle donne: esse non poterono più accedere ai concorsi pubblici per insegnare nei licei lettere, latino, greco, storia e filosofia o per insegnare italiano negli istituti tecnici. Un Decreto Legge del 05/09/1938, infine imponendo una riduzione al 5% del personale femminile, impiegato nella Pubblica Amministrazione, rappresentò il culmine della discriminazione sessuale.
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Pannello 6
La prostituzione
All’inizio dell’Ottocento con l’espandersi dell’impero napoleonico viene introdotta anche in Italia la legislazione francese sulla prostituzione. L’uso di regolamenti di polizia per controllare il fenomeno della prostituzione, era voluto da Napoleone essenzialmente per proteggere le proprie truppe dal contagio di malattie veneree. Cavour e il fascismo attuano una sistemazione normativa nella prostituzione per quanto riguarda i rapporti igienico-sanitari oltre che quelli amministrativi e d’ordine pubblico.
Il Regolamento del 1923 infatti, codifica una forte vigilanza igienica e sanitaria sui bordelli con visite mediche periodiche ed un sistema di registri. Se le donne delle “case di tolleranza”, prima denominate “case chiuse”, volevano evitare l’azione della polizia dovevano essere in possesso della “tessera”, con fotografia e timbro della Prefettura, e sottoporsi a visita sanitaria “almeno due volte la settimana”.
Il tanto vantato obbligo di controllo sanitario in realtà era un obbligo alla visita medica che valeva solo per le donne ma non valeva per i clienti, giovani e anziani, celibi e sposati che continuavano ad infettarle senza rimorso alcuno con la connivenza di proprietari di bordelli, tenutarie e medici compiacenti e con una corrutela politica che dovrebbe essere studiata meglio dai suoi estimatori.
La sifilide, una malattia, chiamata nei secoli sia «mal francese» sia «mal di Napoli» (dalla sua prima grande epidemia scoppiata a Napoli durante una sosta dell’armata di Francia subito dopo la scoperta dell’America) fin dal primo apparire fu legata alle sue realtà preferite, l’esercito e la marina. In Europa cominciò a far riflettere i «filosofi» durante il secolo che vide appunto formarsi i grandi eserciti e le grandi marine nazionali, cioè nel ‘700. Nel 1724 il medico anglo-olandese Bernard de Mandeville scrisse Una modesta difesa dei pubblici casini. Segui nel 1769 Restif de la Bretonne con Il pornografo, o Idee di un onest’uomo su un progetto di regolamento per le prostitute atto a prevenire i guai provocati dal pubblicismo delle donne, che ebbe successo europeo. Segui don Antonio Genovesi che si occupò della questione nelle sue Lezioni di economia civile (1765) pronunciandosi anche lui per il controllo delle donne; mentre G. Filangieri, nella Scienza della legislazione (1780), fece acuti riferimenti al celibato forzoso e ad altre cause socioeconomiche della prostituzione (Sampaoli 1958, PP. 5-9).
Fu Napoleone a inaugurare l’era del regime regolamentarista,dell’invenzione della prostituzione come sistema legale in Europa sul finire del XVIII secolo e l’inizio del XIX e del controllo delle donne e delle visite sanitarie obbligatorie(rifiutate sdegnosamente per i clienti) e dell’istituzione delle case chiuse(1802). Lo fece per amore della sua Armée e precorse le ansie di tutti i ministeri della guerra europei del secolo. Preoccupazione anche di Cavour per il serpeggiare della sifilide, intorno al 1850, nell’esercito piemontese che si apprestava nei suoi progetti, alle nuove battaglie dell’unità e poneva quindi come primario il problema della salute dei militari. Le cifre piemontesi non erano quelle, spaventose, uscite dalla penna di Voltaire nel capitolo IV del Candide («si può giurare che quando trentamila uomini combattono in battaglia contro un esercito di ugual numero, da ciascun lato vi siano almeno ventimila sifilitici»); ma erano pur sempre impressionanti. Su ogni mille soldati piemontesi, duecentocinquanta erano colpiti da un male venereo. Venereo non vuoi dire sifilitico, ma la distinzione allora non era chiara (non lo sarebbe stata ancora per mezzo secolo) e le statistiche cominciavano ad atterrire. Cavour chiamò a sé l’eminente sifilografo Casimiro Sperino e gli ordinò di approntare un regolamento della prostituzione da sperimentare innanzitutto a Torino.
Come tutti i sifilografi del suo tempo, Sperino ammirava il regolamento francese e piú ancora quello belga, che era il francese perfezionato e preparò un progetto a imitazione di quelli. Nel 1854 il Piemonte varò la prima legge organica per il reclutamento militare e l’anno seguente inaugurò a Torino il regime sulle prostitute di Stato. Prevedeva: iscrizione coatta delle donne, visita coatta bisettimanale, ricovero coatto nel sifilicomio-prigione. Quest’ultima espressione non è metaforica: il sifilicomio di Torino era effettivamente annesso alle carceri.
L’estensione del regime a tutto il Piemonte, nel 1857, dovette apparire ai regolamentisti europei una conseguenza diretta del congresso medico internazionale che si era tenuto a Bruxelles l’anno prima, nel quale era stata rivendicata in pieno l’eredità di Parent-Duchâtelet ed era stato chiesto a tutte le nazioni di adottare appunto un regime di Stato. Era il Piemonte, insomma, a confortare la linea della donna-fogna,(come racconterà e analizzerà in modo documentato Anna Maria Mozzoni), nel momento in cui per contro la Prussia, dove il regime era stato abolito nel ’55, veniva guardata con simpatia dagli europei contrari ai regolamenti. E nel momento in cui nelle roccaforti del regime, Francia e Belgio, si andava palesando un fenomeno disturbante per quei governi: la clandestinizzazione della prostituzione, cioè il rifiuto sempre più esteso delle donne di farsi patentare prostitute di Stato. Contro questo fenomeno in Belgio si progettò, nel ’56, un aggravamento del regime, cioè maggiori pene carcerarie e pecuniarie alle insoumises, alle donne non sottomesse; ma si esitava per l’incertezza dell’effetto.Al grande avversario socialista dell’emancipazione, a Proudhon, Jenny D’Héricourt restituiva, confermandolo, l’assioma che alle donne non fosse possibile sfuggire al dilemma «o casalinga o puttana». È vero, verissimo, diceva Jenny, ma perché la società dominata dall’uomo obbliga le donne a lavorare per vivere, soprattutto con lo sviluppo delle filande e dell’industria, ma non le paga quanto basta per vivere e le costringe, dunque, a prostituirsi. Siete voi, diceva Jenny, che ci riducete allo stato di inferiorità e di corruzione. E poi venite a dirci: siete inferiori e corrotte (D’Héricourt 1855, 1856, 1857). Il modello francese continuava a imperare e tutti erano consapevoli che non solo la rivoluzione dell’89 non aveva fatto assolutamente nulla per le donne ma Napoleone, con il varo del suo codice, aveva anzi confermato la loro servitú più di prima. Tant’è vero che nel ’59 il procuratore generale della Cassazione in persona, l’avvocato Dupin, sentiva il bisogno di intervenire per respingere le proteste che da piú parti si erano levate contro la discrezionalità della polizia sulla prostitute. E parlava, come si noterà, piú come un portavoce dell’imperial ministero della guerra che come un magistrato responsabile. «La prostituzione è uno stato che sotto mette le donne che la esercitano al potere discrezionale conferito per legge alla polizia, stato che ha le sue regole come tutti gli altri, come lo stato militare […]. Applicare alle donne pubbliche un regime speciale E…] non significa attentare alla libertà personale piú di quanto ciò non accada nell’esercito, dove vengono applicate ai soldati delle regole disciplinari in virtú delle quali essi possono essere privati a discrezione e senza formalismi della loro libertà» (Lecour, pp. 40-41).
In Francia infatti, dopo Napoleone la situazione era quella dettata dalla forza del Secondo Impero, quello di Napoleone III, che non consentiva grande espansione ad alcuna idea emancipatrice. «Le donne se ne stanno chete. Esse hanno il buon senso di capire che, malgrado gli errori dei democratici, in grembo alla democrazia deve maturare la loro libertà». Cosí scrisse più tardi, evocando ironicamente quell’epoca, Anna Maria (Mozzoni 1878F, p. 26) la più geniale delle donne repubblicane mazziniane italiane quando dopo l’Unità cominciò la sua battaglia per conquistare il diritto di voto alle donne e abolire la prostituzione di stato e analizzando e combattendo una lotta senza confini contro l’indegna schiavitù come lei la defini’ e come la ricostrui’ in uno straordinario libro di Storia Rina Macrelli nel 1981. Cancellata in molti paesi del mondo rimase alla fine della II guerra mondiale operante solo in Francia e in Italia dove riprese la lotta Lina Merlin riuscendo ad abolirla solo nel 1958.
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Pannello 7
La nascita dell’UDI
Il 12 settembre 1944, raccogliendo le esperienze dei Gruppi di Difesa della Donna (GDD), nasce nella Roma appena liberata l’ Udi – Unione Donne Italiane.
Il Primo Congresso Nazionale si svolge a Firenze dal 20 e il 23 ottobre 1945.
L’Udi si propone di portare le donne per la prima volta alle urne prima con il voto amministrativo e poi con il Referendum del 2 giugno e con l’Assemblea Costituente.
Iniziano così le donne dell’Udi, nell’immediato dopoguerra, a partecipare alla ricostruzione del Paese con una nuova idea di cittadinanza.
Nell’immediato dopoguerra le donne dell’Udi partecipano alla ricostruzione del Paese con una nuova idea di cittadinanza.
Nel novembre ’46 le donne dell’Udi organizzano all’iniziativa dei “treni della felicità”: si trattava di una straordinaria rete di solidarietà sostenuta dall’ Udi e dal Pci che, a partire dal secondo dopoguerra, affidò per mesi, talvolta anni, a famiglie del Centro-Nord Italia oltre 80.000 bambini provenienti dal Sud vittime delle conseguenze belliche
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Pannello 8
Violenza: aiuto alle “marocchinate”
Le donne dell’Udi hanno cominciato il lavoro contro la violenza fin dagli stupri di guerra a Montecassino, le “marocchinate”.
Finita la guerra iniziano a dare aiuto a donne di tutte le età che erano stata violentate dalle truppe coloniali francesi nel 1944. Questo impegno proibitivo, durato dal 1945 al 1951, ha rappresentato la prima vera sfida e la capacità collettiva di affrontare la violenza maschile in questo Paese.
Nel Parlamento la questione fu portata nel 1951 da Maria Maddalena Rossi, allora presidente dell’UDI, parlando degli stupri di guerra da parte di truppe alleate, denunciati dalle stesse donne del Cassinate in una straordinaria assemblea a Pontecorvo.
Il Convegno riuscì oltre ogni previsione per presenze e passione e a conclusione fu presentata una petizione di promozione di azione e di risarcimenti molto articolata. Gli stupri di guerra erano considerati quasi “naturali” o danni collaterali e allora non erano considerati crimini di guerra e regolati dalle convenzioni internazionali nei modi che oggi conosciamo; ma grazie a quel lavoro si è iniziato a capire come lo stupro annientava e colpevolizzava le donne, le riduceva al silenzio e all’impotenza, produceva gravidanze forzate, malattie sessualmente trasmesse senza possibilità di cura.
La battaglia di Montecassino rappresenta un caso particolare della II guerra mondiale. Si tratta di nove mesi di compresenza dell’esercito tedesco occupante e dei distruttivi bombardamenti alleati contro l’abbazia di Montecassino per superare la linea Gustav.
Conquistata Montecassino, i Gourmiers (truppe coloniali francesi riconoscibili dall’abbigliamento a turbante) come premio ebbero carta bianca sulla popolazione; ne seguiranno inaudite violenze e stupri.
Scendevano dalla montagna come formiche. in tre giorni fecero l’inferno. Erano ‘na razzaccia brutta e sporca […] Pe’ tutta la montagna se sentivano strilli e lamenti. (Concettta, contadina 26 anni)
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Pannello 9
Donne, guerra e pace
Negli anni ’50 dopo la Costituzione e con lo scoppio della guerra fredda le donne dell’Udi, consapevoli di quello che aveva rappresentato la guerra, si impegnano in una grande campagna per chiedere la pace, il disarmo, l’interdizione della bomba atomica e fabbricano bandiere arcobaleno per dire no alla guerra fredda.
L’Udi si muove sia per il sostegno di campagne concrete (pensione alle casalinghe, divieto di licenziamento per matrimonio, abolizione del coefficiente Serpieri in agricoltura che fissava il valore del lavoro della donna al 60% rispetto a quello dell’uomo) ma anche per il diritto al lavoro e alla pari retribuzione e il diritto alla casa (1953 Carte della donna italiana).
L’UDI è stata forse la prima ad indicare nella pace un tema totalmente politico, nè di soli sentimenti buoni nè di recriminazione, in questo riuscendo a essere anticipatrice di una sensibilità che maturerà decenni dopo.
Da sempre impegnata per la pace anche a livello internazionale, l’UDI ha più volte levato la sua voce autonoma, sia nella Guerra Fredda che sulle aggressioni a vari popoli (Cambogia, Vietnam, Corea, Balcani).
Nel 1951 l’UDI fa una Campagna per raccogliere scatole di latte per i bambini coreani che vivevano in un paese devastato dalla guerra. Reduce dei ricordi di tanta miseria le donne dell’UDI fanno un appello da madre a madre; un atto di solidarità internazionale.
Coefficiente Serpieri
Introdotto con legge nel 1934, sul lavoro delle contadine, dal Ministro fascista omonimo, si intendeva un sistema di valutazione in base al quale il lavoro di una contadina era considerato soltanto pari a una percentuale di quello svolto da un uomo. La teorizzazione della diversa valutazione del lavoro delle donne contadine venne definita e tradotta in cifre nelle “tabelle” del Serpieri, economista agrario negli anni ’20-’30. Secondo tali “tabelle”, fatto il lavoro dell’uomo dai 18 ai 68 anni eguale ad 1, il lavoro femminile è valutato 0,60, vale a dire poco più della metà. Dai 12 ai 18 anni e dopo i 68 anni il lavoro maschile è valutato 0,50 e quello femminile 0,30, sempre rispetto all’unità lavorativa dell’uomo adulto.
L’abolizione del coefficiente Serpieri si inseriva nelle lotte che l’Udi da subito propone come fondamentali per il diritto al lavoro delle donne.
La mobilitazione dell’Udi per cambiare lo stato delle cose parte dalla nascita della Costituente della Terra che alla fine dei suoi lavori lancerà questo Appello
Appello rivolto alle donne a conclusione della Costituente della Terra *
*In Bollettino d’informazione, anno I, n. 11, gennaio 1948
Perchè la nostra vita possa essere libera dai legami di una schiavitù millenaria.
Perchè lo spettro della disoccupazione sia per sempre allontanato dalle nostre famiglie.
Perchè anche per noi vi sia sicurezza di assistenza nelle malattie, nella maternità, nella vecchiaia.
Perchè anche per noi vi siano case spaziose e sane.
Perchè anche noi possiamo avere luce, acqua, strade che rendano meno dura la nostra fatica quotidiana.
Perchè anche i nostri figli abbiano scuole e istruzione.
PERCHÈ IL NOSTRO LAVORO POSSA DARE A TUTTI I BIMBI, A TUTTE LE DONNE, A TUTTO IL POPOLO IL PANE QUOTIDIANO.
Noi donne, contadine d’Italia,chiediamo
Revisione e rispetto dei contratti agrari. Divisione della grande proprietà e del latifondo. Protezione ed aiuto per la piccola proprietà. Partecipazione dei lavoratori della terra alla gestione delle aziende agricole
Perchè tutto questo divenga realtà
Perchè divenga realtà il sogno di Giuditta Levato e di quante hanno lottato e sofferto
Per la libertà della terra
UNIAMOCI
braccianti e mezzadre, piccole proprietarie e colone, del nord e del sud, dei monti e delle pianure, in una grande associazione, per conquistare, assieme a tutti i lavoratori della terra, il riscatto delle campagne, una vita di lavoro e di libertà, pari salario e un avvenire di pace.
L’associazione delle donne contadine è una delle associazioni differenziate dell’Udi perchè nel ‘47 questa scelta dell’associazionismo differenziato appare all’Udi la strada per la mobilitazione politica di masse di donne — le più numerose possibili. Sono alcune tipiche condizioni di vita e di status sociale comuni a grandi numeri di donne — le contadine, le casalinghe, le donne che hanno a loro carico una famiglia per le ragioni più diverse, in primo luogo la guerra — che offrono il terreno ad questa iniziativa dell’Udi stimolandola ad individuare motivi di lotta e ad enucleare possibili obiettivi rivendicativi.
L’Udi. dimostra di saper cogliere con puntualità e aderenza al reale le condizioni di disagio, le aspettative, la carica di combattività potenziale di queste donne. Il motivo unificante è quello di attrarre nell’orbita delle lotte politiche nuove forze femminili.
Ma, nell’evocare alla ribalta queste figure di donne, con il loro carico di sofferta condizione femminile e di specifica oppressione, l’azione organizzata porta alla luce la materia viva e gli aspetti più riposti della subalternità che entrano nella coscienza collettiva della lotta femminile. Con la contadina emerge il permanere, nella società moderna, di un rapporto di tipo servile: la donna proprietà del patriarcato, sia nella sua qualità di riproduttrice di forza lavoro, sia nella sua qualità di produttrice di una quota di lavoro sociale venduto e gestito, all’esterno, dal maschio, marito-padre-padrone. Con la casalinga emerge l’esistenza, nella società, di una quantità enorme di lavoro non riconosciuto, non retribuito, pilastro di tutta l’organizzazione sociale, “dovere” di moglie e di madre, amore sotto forma di servizi. Con la donna capofamiglia si manifesta la riprova vivente della cristallizzazione dei ruoli, che fa sì che la società rifiuti di riconoscere a quella donna che pure sostiene un carico familiare quei diritti, quei provvedimenti concreti, quel prestigio che sono attribuiti all’uomo che si trova in quelle medesime condizioni.
L’Associazione delle donne contadine comincia ad organizzarsi in occasione dell’assemblea nazionale della Costituente della terra (Bologna, 21 dicembre 1947).
L’associazione (che alla fine del 1948 assumerà il nome di Donne della campagna) conosce un primo periodo di sviluppo soprattutto nelle regioni meridionali: grosso è il contributo di presenza nelle lotte del movimento per la “rinascita” che aveva al centro il problema della riforma agraria. Nei mesi successivi, le donne si riuniscono in numerose province agricole dando luogo a convegni specifici nei quali vengono affrontati, oltre ai problemi economici e sociali delle campagne, temi più legati alla quotidianità della vita, quali le condizioni della maternità e dell’infanzia, i problemi dell’igiene e della sanità, delle scuole e degli asili, della preparazione professionale, delle abitazioni contadine.
Si sviluppa, così, un’analisi della condizione delle donne che vivono e lavorano nelle campagne: i disagi e le servitù cui, in quanto donne, sono particolarmente sottoposte divengono occasione per suscitare momenti di coscienza ed individuare nuovi, originali punti di attacco contro il potere, la prepotenza, l’autoritarismo dei padroni delle campagne. Già nel documento in preparazione della Costituente della terra, figura al primo punto degli obiettivi di lotta la questione delle “regalie”, “obblighi”, “onoranze” che, si afferma, tolgono “in particolare alla donne contadine e mezzadre i frutti del proprio lavoro”. Ci si riferisce a quel tipico rapporto tradizionale di antica data per il quale precisi capitolati tra il padrone e chi coltivava la terra sancivano che in date previste dell’anno dovevano essere forniti alla famiglia padronale determinate quantità e qualità di prodotti agricoli e animali da cortile.
Spesso gli stessi capitolati prevedevano i servizi che le donne della famiglia contadina dovevano prestare — senza compenso — nella casa padronale: non erano né lontani, né scomparsi i tempi nei quali, tra queste prestazioni, si annoverava il diritto del padrone-maschio di considerare le donne dei contadini che da lui dipendevano come sua proprietà sessuale.
Il rifiuto alle prestazioni di servizi e regalie mentre faceva delle donne una presenza importante e protagonista nel confronto con il padronato agrario, metteva a nudo anche la totale esclusione delle donne dalla gestione dell’azienda, malgrado che il loro lavoro fosse essenziale a tal punto che veniva esplicitamente richiamato nei contratti.
La presa di coscienza dell’ingiustizia di questa esclusione venne a confluire nel movimento generale per la riforma dei contratti agrari: la famiglia contadina nel rivendicare nei confronti del padrone una maggiore quota nel riparto del prodotto aveva interesse a far pesare tutte le unità di lavoro presenti nella famiglia, e, quindi, anche le donne. Per questa breccia emerge per la prima volta il valore economico della prestazione lavorativa delle donne delle campagne: quel valore da economia aziendale che in gran parte è rimasto sommerso per il suo intreccio strettissimo con la casalinghità.
Il contenuto emancipatorio di queste lotte darà pieni frutti solo parecchi anni più tardi, quando si porrà pienamente e chiaramente il problema di far riconoscere il valore del lavoro della donna contadina nella battaglia per la modifica del cosiddetto “coefficiente Serpieri” e, indirettamente, con la rivendicazione della pensione alle casalinghe, che interesserà anche le donne.
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Abolizione della prostituzione di Stato
Grazie alla senatrice Lina Merlin (tra le fondatrici dell’Udi) il 20 febbraio del 1958 entrò in vigore una delle leggi più amata e odiata della nostra storia, la numero 75, meglio nota come legge Merlin dal nome della prima firmataria nel 1948. Un provvedimento che dopo dieci anni dal suo inizio abolì la regolamentazione della prostituzione di stato.
La L. 75/58 dichiara che la prostituzione non è un reato, ma introduce i reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione anche recependo la Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu del 1948.
La legge Merlin, liberò oltre tremila donne dalla “indegna schiavitù” come la chiamò dopo l’Unità d’Italia Anna Maria Mozzoni, termine ripreso poi da Lina Merlin. La legge ridiede dignità e libertà alle donne, soprattutto alle giovani povere e ingannate, costrette a subire anche 100 uomini al giorno come descritto da una delle protagoniste nelle “Lettere dalle case chiuse” inviate alla Merlin.
La legge ridiede dignità anche ai figli e, la possibilità a tante, che dalle case erano scampate, di potersi rifare una vita, trovare un lavoro, farsi una famiglia, sposarsi poiché non più sottoposte all’obbligo di essere “patentate” contro la loro decisione e al controllo della polizia sulla loro vita e le loro scelte.
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Pannello 11
Gli anni del cambiamento
Gli anni ’60 rappresentano il decennio di lotte per il diritto e l’ingresso della donna nel mondo del lavoro come diritto insopprimibile e strumento di libertà, dignità e sviluppo della personalità femminile e che aiuta e non crea disgregazione della famiglia.
Le donne dell’Udi iniziano a chiedere alle istituzioni di affrontare la riforma del diritto di famiglia e le norme penali su adulterio, chiedono il divorzio, la libera vendita di anticoncezionali e l’educazione sessuale.
Sono gli anni della battaglia per la legge degli asili nido e per rendere la scuola dell’infanzia pubblica per bambini dai 3 ai 6 anni.
Nel febbraio 1965 vengono raccolte 50.000 firme per presentare una legge di iniziativa popolare per l’istituzione degli asili nido. Nel VII Congresso Nazionale UDI 1964 si fa esplicitamente riferimento al conflitto tra i sessi e viene definita la società italiana come società maschilista.
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Per un mondo diverso
Gli anni Settanta sono gli anni del neofemminismo, dominati dalle battaglie per il divorzio, la riforma del diritto di famiglia, per i consultori, l’aborto e la violenza maschile.
Il terreno in cui ci si confronta e scontra è l’esperienza e la realtà dell’aborto e l’autodeterminazione: le ragioni dell’incontro tra l’Udi e il neofemminismo sul finire degli anni ’70 si moltiplicano quando esplodono i problemi e le riflessioni sulla violenza sessuale.
Questo è un decennio prolifico e decisivo per la vita delle donne dove si ottengono molti risultati: la Legge sul divorzio (1970), l’abrogazione del divieto di contraccezione come reato contro la stirpe, la Legge sugli asili nido comunali (1971), la Campagna referendaria contro l’abrogazione del divorzio (1974), la Riforma del nuovo diritto di famiglia e istituzione dei consultori familiari (1975), la Legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (1977), la Legge sull’aborto IVG (1978).
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Abolizione del Codice Rocco
Il varo del nuovo diritto di famiglia nel 1975, avvenuto dopo il referendum sul divorzio (1974) dopo 8 anni di dibattito parlamentare, in realtà non cambia nel Codice Rocco tutte le norme riguardanti la potestà maritale e paterna.
La tradizione giuridica patriarcale violenta presente anche nelle relazioni sociali e familiari cosiddette “normali” emergeva sia per la maggiore consapevolezza e autonomia delle donne, sia per il fatto che l’Italia, e in particolare Roma, in quegli anni era colpita, da stupri divenuti famosi tra l’opinione pubblica come la strage del Circeo, lo stupro e l’aggressione subiti da Claudia Caputi fino al processo di Latina (presentato poi in TV nellatrasmissione Processo per stupro).
Una situazione che fa reagire le donne le donne con grande forza. Viene presentata una legge di iniziativa popolare nel 1979, proposta elaborata dal Movimento di Liberazione della Donna (MLD), dall’UDI e da vari collettivi femministi e coordinamenti sindacali.
Per la prima volta in modo sistemico realtà molto diverse di donne e che erano state divise sino a quel momento, discutono su come affrontare la violenza maschile e trovano una soluzione condivisa espressa nella proposta di legge e nella raccolta di 350.000 firme per la sua presentazione, invece delle 50.000 previste.
Solo nel 1996, dopo ben 17 anni, il Parlamento definirà lo stupro come reato contro la persona.
Dopo la presentazione della legge di iniziativa popolare del Movimento viene abolito il matrimonio riparatore (diventato famoso con il caso di Franca Viola) e abrogata una parte del codice penale che all’art. 587 prevedeva il delitto d’onore.
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I tempi lunghi del cambiamento
Malgrado i decenni di lotte delle donne è stato necessario un tempo lunghissimo per poter affrontare la questione della violenza in famiglia e dello stupro domestico, considerato fino ad allora fatto privato e dovere coniugale.
Alla fine, la legge è passata grazie alla risonanza avuta dalla Conferenza di Pechino 1995 in cui l’Italia era l’unico Paese democratico dell’Occidente ad avere in merito alla violenza alle donne ancora un codice fascista.
In quegli anni di lotte intanto nascono i Gruppi Giustizia dell’UDI, il Tribunale 8 marzo, il Telefono Rosa e nuovi servizi di aiuto di gruppi femminili che oggi sono diventate le strutture fondamentali di riferimento: i centri antiviolenza, le case rifugio e i corsi di formazione sempre più specialistici su come affrontare e superare la violenza maschile intra o extra familiare denunciata dalle donne.
Sono stati l’UDI ed altri gruppi, aiutati dagli enti locali, a sostenere l’istituzione di Centri antiviolenza e case rifugio, che allora erano 5 in tutta Italia e oggi sono diventati 380.
Negli anni ’90, la Regione Lazio legifera per sostenere tali strutture e contestualmente vengono lanciati i progetti Dafne dell’Unione Europea e verrà creato nel 1996 il Dipartimento Pari Opportunità.
Tribunale 8 marzo: nel 1979 su iniziativa dell’UDI (con il centro studi Elsa Bergamaschi) nasce il Tribunale 8 marzo come luogo di denuncia della violenza. Lo slogan riportato anche sul manifesto è “Tra il grido e il silenzio scegliamo la parola”. Due sono le sessioni la Prima del febbraio marzo 1980 presenta Cosa loro riportando le denunce e le testimonianze. La Seconda del febbraio – marzo 1981 dedicata a Donne e medicina e la Terza del 1982 sul Diritto alla giustizia e la Carta dei diritti della partoriente.
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Gli anni ’90
In questi anni sono tanti i temi che vedono in prima linea le donne dell’Udi: l’assistenza alle donne jugoslave, il ritiro delle truppe in Iraq, la battaglia sulla procreazione assistita, la posizione contro le mutilazioni genitali femminili, le molestie sul lavoro e il femminicidio.
La caduta del muro di Berlino con la dissoluzione degli stati dell’ex URSS produce migrazioni consistenti e soprattutto rafforza il traffico di essere umani a fini di sfruttamento sessuale e lavorativo. Era inoltre già presente da anni in Italia il traffico di donne dall’Africa, in modo particolare dalla Nigeria e dal sud America.
L’impegno dell’UDI continuava allo scoppio della guerra in Bosnia ci fu l’immediata mobilitazione con le donne slovene dell’Udi di Ferrara nel campo profughi di Ajdovscina con un progetto che è durato sette anni (foto sottostante), oltre la pace di Dayton. Il progetto si chiamava “Oltre la solidarietà” e la campagna per finanziarlo “Un gesto per ritrovare un mondo”. Nel 1995, Liviana Zagagnoni dell’Udi di Ferrara porterà un documento delle donne Bosniache alla Quarta Conferenza Mondiale ONU a Pechino.
Il cambio di governo e l’istituzione di una Ministra per le Pari Opportunità, vide molte femministe partecipare alla nascita del Dipartimento P.O alla Presidenza del Consiglio dei Ministri proprio con riferimento alla Carta di Pechino che finalmente iniziò a prendere sul serio la violenza maschile
E’ a Pechino, nel 1995 durante la Conferenza mondiale, che i movimenti di tutto il mondo hanno affermato la propria pretesa di “guardare il mondo con occhi di donna” e hanno proclamato che “i diritti delle donne sono diritti umani”.
Alla Conferenza dei governi hanno partecipato 5.307 delegate e delegati ufficiali, e 3.824 rappresentanti delle ONG.
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Il secondo millennio
La riflessione sulla crescente presenza in Italia di donne immigrate dall’America Latina all’est europeo e all’Africa, comportò, nel XIV° congresso nazionale UDI (Roma, 2002-2003), un cambio di denominazione – da Unione donne italiane a Unione donne in Italia – per lavorare insieme alle migranti e includerle nella vita associativa come avvenne anche in tante realtà locali oltre che nelle scelte politiche dell’associazione.
Il XIV° Congresso UDI si svolse in un momento drammatico per il mondo intero dopo l’attacco delle Torri Gemelle sebbene le donne fossero divente soggetti delle propria vita, era presente un delicato equilibrio tra le generazioni, anche tra le immigrate.
Dopo il congresso partirono iniziative come Donne manifeste, una mostra che viaggiò in tutta Italia, le campagne nazionali: 8 marzo 2006, La precarietà rende sterili, nel 2007 50E50…ovunque si decide! con presentazione di una legge di iniziativa popolare, nel 2008/09, la Staffetta di donne contro la violenza sulle donne e UDI Stop femminicidio, nel 2010 Immagini amiche e Città Libere, Stereotipa e Mediterranea a Catania. Venne istituito anche il Premio immagini amiche (9 edizioni) con l’Ufficio italiano del Parlamento Europeo, con tante città e con centinaia di scuole ed aveva lo scopo di combattere pregiudizi, stereotipi e sessismo contro le donne sollecitando un nuovo modo creativo di vedere la donna
Campagna 50&50…ovunque si decide! aveva come obiettivo la presentazione al Parlamento di una Proposta di Legge di iniziativa popolare, che in pochi ed essenziali articoli promuoveva la Democrazia Paritaria, imponendo le candidature al 50E50, per ogni Assemblea Elettiva, affinchè le donne possano realmente esercitare un diritto costituzionale.
Il premio Immagini amiche si è ispirato alla risoluzione del Parlamento europeo votata il 3 settembre 2008 sull’Impatto del marketing e della pubblicità sulla parità fra donne e uomini e intendeva valorizzare la comunicazione per immagini. Una comunicazione che, per essere veramente tale, non abusa del corpo delle donne e non le strumentalizza, non utilizza stereotipi e al tempo stesso compie uno sforzo di creatività e rispetto.
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La Staffetta di donne contro la violenza sulla donne
Il 25 novembre del 2008 l’Udi promuove la campagna nazionale Staffetta di donne contro la violenza sulla donne che dura un anno portando un’Anfora.
Si voleva denunciare ogni giorno la violenza che colpisce le donne e le bambine nelle sue forme più svariate, donne sposate, single e lesbiche in ogni parte del mondo.
Da Niscemi, dove è stata assassinata Lorena (ragazza italiana) l’Anfora attraversa l’Italia in centinaia di città e piccoli paesi. Il suo viaggio si conclude a Brescia dove era stata sgozzata Hiina, (ragazza pachistana), sabato 21 novembre 2009.
Il 25 novembre del 2008 l’Udi promuove la campagna Staffetta di donne contro la violenza sulla donne che dura un anno portando un’Anfora. “Simbolo e testimone della Staffetta, che attraverserà l’Italia passando di mano in mano, è un’anfora con due manici, così che la possano portare due donne. Questo gesto di “portare insieme” vuol proprio significare l’importanza della relazione, della solidarietà, della vicinanza tra noi su tutti i temi che ci toccano profondamente. In ogni luogo in cui la Staffetta passerà, le due donne che l’hanno avuta in consegna la consegneranno ad altre due pubblicamente.” Si voleva denunciare ogni giorno la violenza che colpisce le donne e le bambine nelle sue forme più svariate, donne sposate, single e lesbiche in ogni parte del mondo.
I simboli disegnati sull’Anfora erano quelli che l’archeologa Maria Gimbutas fa risalire alla Dea Madre e l’anfora è stata la testimone della Staffetta. Da Niscemi, dove è stata assassinata Lorena (ragazza italiana) attraversa l’Italia in centinaia di città e piccoli paesi. Il suo viaggio si conclude a Brescia dove era stata sgozzata Hiina, (ragazza pachistana), sabato 21 novembre 2009.
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Dalla Convenzione No More alla Convenzione di Istanbul
Nel 2012, l’UDI nazionale lancia l’idea della Convenzione No More, contro il femminicidio, cui aderiscono le maggiori associazioni delle donne impegnate contro la violenza maschile, enti locali e parlamentari. Vengono avanzate proposte fondamentali di governo per affrontare e ridurre la violenza contro le donne proponendo una raccolta sistemica e integrata di dati sul fenomeno, un sistema di azioni per aiutare le donne oltre che la prevenzione e sensibilizizzazione nelle scuole..
Il testo anticipa la Convenzione di Istanbul ratificata nel 2013, e impegna il governo a non affrontare più il fenomeno della violenza in chiave emergenziale. Si arriverà nel 2017 al varo del Piano strategico nazionale mentre si arriva al riconoscimento della tragedia del figlicidio.
Nel 2016 l’UDI digitalizza l’intero fondo dei manifesti, oltre 1600, e la fototeca per rendere fruibile l’enorme patrimonio documentario a/alle studenti, studiose, ricercatrici e ricercatori, giornaliste. Al termine di tale progetto si decide di digitalizzare anche i materiali documentali dell’Archivio Centrale inerenti la violenza, che va dagli stupri di guerra con le tragiche Marocchinate, al materiale sulla violenza sessuale contro le donne dagli anni ‘70 fino alla campagna della Staffetta.
Normalmente per figlicidio si intende l’infanticidio, che è l’uccisione del figlio dopo la nascita o nel il primo anno di vita per mano del genitore.
Ma il figlicidio non ha trovato in Italia, e non solo ( vedi sentenza Cedu maggio 2021), ancora una chiara e univoca definizione e anche in ambito penale spesso viene confuso con l’infanticidio che è contemplato del ns Codice Penale all’ art.578 ” la madre cagiona la morte del proprio neonato immeritamente dopo il parto o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connessi al parto. La madre è punita con la reclusione da 4 a 12 anni”.
Al di fuori di questa precisa condizione gli atti di questo tipo sono puniti quali omicidio ( 21 anni di carcere) con l’aggravante del grado di parentela.
Nel Codice Rocco l’infanticidio per ragioni d’onore godeva di grande tolleranza.
Se l’infanticidio è l’uccisione del figlio entro pochi giorni /mesi di vita e di età inferiore ai 12 mesi, il figlicidio diventa sempre più l’uccisione del figlio dal 1 anno in su che in questo decennio ha visto responsabili donne per problemi di depressione e disagio mentale mentre, da oltre un decennio, ci sono uccisioni di figlie e figlie di varie età per mano dei padri come ritorsione e forma di vendetta nei confronti della madre dopo separazioni o denunce di violenza domestica. Queste uccisioni continuano con un ritmo esponenziale.
Questo tipo di figlicidi è stato considerato come una forma estrema di femminicidio e gode nei mass media di una rappresentazione troppo tollerante nei confronti dei padri assassini considerati infelici o disperati e persino troppo affezionati ai figli che uccidono.
Il caso più famoso è quello di Federico Barakat, tra i piu’ efferati, ma si ricorda anche il caso dei due fratelli Davide e Andrea Iacovone (2011) affidati all’Ente e uccisi dal padre nonostante i segnali di pericolo, la richiesta di aiuto e di allarme richiesto a gran voce da parte della madre Erica Patti, lei come la mamma di Federico Barakat, Antonella Penati, non fu creduta ne ascoltata dai servizi sociali che mandarono lo stesso i due bambini dal padre. Quest’ultimo invece di riportare i bambini a casa li soffocò e li bruciò nonostante la madre chiedesse ai servizi territoriali di andar a riprendere i suoi bambini perché erano in pericolo.
Altro esempio di figlicidio di minori “affidati alle cure” dello Stato sono i due piccoli Faith e Divine, rispettivamente di 18 mesi e di 6 mesi (2019) lanciati dalle scale del carcere dalla madre, mentre era detenuta a Rebibbia; madre con noti ed evidenti problemi psichiatrici ma fu lasciata sola con i bambini ai quali tolse la vita.
Altro caso efferato quello della piccola Gloria di soli 3 anni, presa dai servizi territoriali addirittura in una casa rifugio e portata al padre che poi la uccise con molte coltellate (2019).
Ma gli esempi potrebbero continuare fino alle ultime settimane.
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Sguardi di donne sul mondo che cambia
Nel maggio 2016, l’UDI, nell’organizzare il XVI° Congresso Donne e Femminismo nel mondo che cambia previde un’Anteprima dedicata alle migrazioni e alle migranti. Nel 2017 lancia, dopo il seminario Nazionale e quelli locali “Lasciateci Lavorare”, la Piattaforma per una contrattazione di genere sui temi del lavoro, precarietà, Welfare e valore sociale della maternità nelle condizioni odierne.
Sempre nel 2016 condivide con Yo decido (di cui era parte fondamentale la Casa internazionaledelle donne di Roma), e Di.re il lavoro che porta al lancio di Non una di meno il 25 novembre del 2016.
Negli ultimi anni, l’UDI ha ripreso, insieme ad altre realtà femministe, la battaglia contro la tratta, la prostituzione e la Gestazione per altri (GPA), proponendo seminari nazionali e locali e presentazione di saggi e di ricerche delle maggiori studiose femministe in questi ambiti.
Nel 2018, l’UDI organizza il Seminario Nazionale “Violenza contro le donne ai tempi del sovranismo” che rende immediatamente chiaro quale vendetta storica, contro le conquiste delle donne italiane si stia consumando.
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I dati e le costituzioni di parte civile
I dati contro la violenza alle donne in Italia fino al 2006 non vengono raccolti.
La prima ricerca Istat viene pubblicata allora e solo grazie a un finanziamento del Dipartimento Pari Opportunità con i fondi europei. Difficoltà che continuerà fino alle ricerche degli ultimi anni fatti dagli enti di ricerca (CNR e Istat) anche grazie alla forte pressioni dell’Udi.
L’associazione infatti ha cominciato dieci anni fa a raccogliere dai media i dati dei femminicidi, e non solo, con un lavoro sistemico sulla Lista Horribilis. Putroppo a questi si sono aggiunti anche i dati sui figlicidi.
Ciò ha permesso insieme ad altre associazioni di dimostrare non solo la gravità ma anche il perdurare delle forme di violenza estrema fino al femminicidio in modo quasi costante negli ultimi decenni.
Contemporaneamente l’associazione si è trovata a ragionare e discutere sulla PAS, sindrome di alienazione parentale variamente definita, che punisce le donne e i figli invece deigli uomini violenti.
Accanto al lavoro istituzionale l’Udi si è anche costituita come parte civile nei processi contro la violenza sessuata, costruendo le condizioni di una solidarietà verso le vittime costante anche nelle aule dei tribunali di Modena, Bologna, Ravenna, Reggio Calabria.
L’UDI si è battuta inoltre contro le molestie sessuali e a favore della convenzione ILO.
Il termine PAS (Parental Alienation Syndrome) è usato per indicare sia la Sindrome di alienazione parentale che i suoi correlati (Disturbo di alienazione parentale, Alienazione parentale, Disturbo relazionale etc…)
La Pas è un falso disturbo psichiatrico che viene prospettato nel contesto di controversie in materia di affidamento dei figli in particolare contro la madre quando la controversia è prolungata e aspra e diseguale tra i coniugi
Questo disturbo è dichiarato falso dalle grande associazioni scientifiche e si basa su una teoria che nasce negli USA negli anni 1983-1985 e arriva in Italia
Dal 1997-1998 viene insegnata in alcune Università a figure legate alla lobby dei padri separati
Il costrutto della PAS è riferito come un giudizio causato dalla madre, malevola e alienante, contro il padre, alienato, perché nella stragrande maggioranza dei casi questa è la situazione che si verifica. Ma le medesime critiche ad una ipotesi tanto fantasiosa e violenta devono ritenersi valide nei rari casi in cui sia il padre accusato di alienazione contro la madre, vittima alienata. Si tratta solo di differenze (enormi) in frequenza. La profonda critica è all’intera congettura della PAS, non alla vera genitorialità, paterna o materna che sia e che certo non si appella ad ideologie per affermare sé stessa.
Molto di quanto riferito non è applicabile a quella stragrande maggioranza di separazioni/divorzi (>90%) che, fortunatamente, non precipita in queste battaglie giudiziarie. In questo foltissimo gruppo, nell’esperienza della scrivente, è il genitore che vuole più bene ai figli, o più maturo nella genitorialità, che diventa la vittima o la persona su cui maggiormente gravano i danni della separazione; padre o madre che sia.
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La Linea del Tempo
Regio decreto sulla RIFORMA GENTILE sulla scuola che esclude le donne dall’insegnamento
CODICE ROCCO è un codice penale che definisce in ambito civile e penale il potere dei mariti e dei padri e la subordinazione della moglie e dei figli rendendo legittima la violenza contro le donne
Decreto Legislativo N. 23 Diritto di voto attivo alle italiane con più di 21 anni tranne le prostitute schedate” le patentate”.
Decreto N. 74 del 10 marzo che dopo un anno riconosce l’eleggibilità delle donne
2 giugno Referendum monarchia/repubblica. Votazione Assemblea Costituente
Convenzione ONU sui diritti umani
Entra in vigore la Costituzione italiana
Convenzione ONU contro la tratta di esseri umani e contro lo sfruttamento della prostituzione altrui
Legge n. 8601 Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri
la Corte di Cassazione fa decadere con l’art. 571 del Codice penale lo ius corrigendi
Legge n. 75 detta Merlin. Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui
Legge n. 66 Ammissione della donna ai pubblici uffici, alle professioni e alla magistratura
Legge n. 71 Divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio
Modifica del Codice Penale con l'abolizione dello Ius corrigendi
Franca Viola viene rapita rapita e abusata. Liberata rifiuta il matrimonio riparatore e denuncia il suo rapitore facendolo condannare nel 1966
Legge n. 898 Disciplina i casi di scioglimento di matrimonio - Legge sul divorzio
Abrogazione della Norma sulla contraccezione come reato contro la stirpe
Legge n. 1044 Piano quinquennale per l'istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato
Referendum contro Legge il divorzio n.898/70
Conferenza mondiale ONU di Città del Messico
Legge n. 151 Riforma del diritto di famiglia
Legge n. 405 Istituzione dei consultori familiari
30 settembre massacro del Circeo: Donatella Colasanti e Rosaria Lopez vengono rapite seviziate, torturate. Rosaria Lopez sarà uccisa e Donatella Colasanti fingerà di esser morta per salvarsi
Claudia Caputi viene stuprata da un branco di 7 criminali e da accusatrice diventa accusata
Legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro
Legge n. 194 Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza
CEDAW Convenzione ONU per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne
Le donne dell’MLD, UDI e MFR raccolgono le firme per la Legge di iniziativa popolare contro la Violenza Sessuale e il Codice Rocco
Viene mandato in onda in tv Processo per stupro sullo stupro di Latina
Conferenza Mondiale ONU delle donne a Copenaghen
Legge n. 442 Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore e del matrimonio riparatore
Doppio Referendum contro la LEGGE 194
Conferenza mondiale delle donne di Nairobi
L’8 marzo A.M. Cammarata detta Marinella viene stuprata da 3 uomini nei dintorni di Piazza Navona e muore pochi mesi dopo
Legge n. 125 - Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro
Risoluzione ONU 48/104 dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne
Varata dalla Regione Lazio la prima legge regionale sui centri antiviolenza
Conferenza mondiale delle donne di Pechino
Legge n. 66 - Norme contro la violenza sessuale
Designazione del 25 novembre come Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne
la Cassazione emette la sentenza n°1636, la famigerata 'sentenza dei jeans’
Legge n. 154 Misure contro la violenza nelle relazioni familiari e l’allontanamento del familiare violento
Istituzione del numero verde 1522 contro la violenza alle donne
Prima ricerca Istat sul fenomeno della violenza contro le donne in Italia
Legge n. 38 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori - Legge sullo stalking
la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali
Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa contro la violenza alle donne
Legge n. 2015 Disposizioni volte a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nelle amministrazioni locali
Ratifica del Parlamento Italiano della Convenzione di Istanbul
Legge n. 119. E' legge il decreto che contiene le misure contro la violenza di genere, grazie alla conversione in Legge 15 ottobre 2013, n. 119
Legge n. 69 (recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”) denominata “Codice Rosso”
approvata la convenzione ILO contro le molestie sessuali nei posti di lavoro dal Parlamento italiano